Io, Archimede e i Led a Cellino San Marco. -Pt.1

Pt.1: Viaggi, funghi e terremoti

Tutto capita per una determinata ragione.
Rettifico: TUTTI capitano per una determinata ragione. Come se ci fosse una sorta di equilibrio karmico, forse un po' squilibrato. Ma ha un senso che a un certo punto diviene lampante.
I credenti lo chiamano disegno divino. Altri lo chiamano destino.
Io, personalmente, ancora non gli ho dato un nome.
Ci capitano fra i piedi persone quasi insignificanti, che per quieto vivere ci sforziamo di amare, mentiamo a tutti, finanche a noi stessi, dicendo di amare quelle persone per poi guardarci dentro e capire che così, in fondo in fondo, non è. Fingiamo i rapporti. Amici, fidanzati. Fantocci. Sono quelle le persone a cui più facciamo del male, più o meno consapevolmente; sono quelle le persone a cui diamo il peggio di noi e sono sempre quelle le persone che imparano ad amare anche e SOPRATTUTTO il peggio di noi: i nostri silenzi, i nostri finti sms, i nostri difetti, le nostre mancanze di tempo, alcune volte anche di rispetto, nonché le abominevoli quantità di scuse banali e poco credibili. Ovviamente, costoro sono i primi esseri umani sulla lista intitolata "gente di cui non mi frega un cazzo in ordine random".
Poi, succede che un giorno ti svegli di buon mattino. Prendi il treno, vai all'università. Prendi appunti, studi. Prendi un caffè al bar, guardi la vetrina di un negozio in centro. Perdi un treno, un autobus, torni due ore dopo. Vivi.
E altre persone, altrettanto vive, ti pestano i piedi sul bus, ti strisciano con la borsa mentre camminano, si mettono a gridare in biblioteca e riempiono di briciole di brioches il bancone del bar. La vita ti scorre davanti e succede che un giorno, un giorno qualsiasi, quando finisci un paragrafo e il caffè è ormai gelido, improvvisamente, te ne rendi conto.
E' come una rivelazione! L'Archimede che è in te grida: "eureka!".
L'essere umano moribondo che è in te si limita a guardarsi intorno.
E mentre tu ti guardi intorno e vedi la vita scorrere, nel frattempo, lentamente, c'è qualcuno che faticosamente si fa spazio fra i tuoi impegni, fra i tuoi appunti, fra i tuoi libri, fra i tuoi treni, fra le tue scuse. Fra le tue insicurezze, fra le tue paure.
Lentamente, inesorabilmente, e senza che tu te ne renda conto. Quasi dolcemente. In termine giuridico si potrebbe quasi dire 'abuso di sorrisi' o 'violazione degli impegni'.
Un giorno, mentre osservi il tempo scorrere, in mezzo a tutto il casino della stanza, in mezzo alle date degli appelli, in mezzo alle pagine che ti mancano per sentirti pronta per un esame, fra una rotazione consonantica e la biografia di quello stronzo di Husserl, prende nitidezza, lentamente, una figura esile, un po' goffa, con i capelli a fungo, le orecchie a sventola e gli occhi grandi, forse un po' a palla.
D'un tratto, il casino.
Ti crolla il terreno sotto ai piedi. Così, come un fulmine a ciel sereno. Tu stai lì tranquilla per i cazzi tuoi, ti stai infilando il pigiama per andare a dormire e il lampadario prende a dondolare spasmodicamente mentre il muro si riempie di crepe e il soffitto inizia a franare sui tuoi capelli ancora un po' umidi dopo la doccia, sui tuoi evidenziatori colorati sparsi sulla scrivania, sui tuoi libri letti a metà e capiti per un quarto.
E' il panico.
Sei in ciabatte e in pigiama, completamente sola in casa, è notte fonda e la tua stanza crolla, puoi percepire il cedere delle fondamenta sotto ai tuoi piedi. Prendi quello che riesci, quello che puoi, prima di finire schiacciata dal peso dei muri portanti. Prendi il telefono, così, d'istinto, è indispensabile, serve per twittare e per chiedere aiuto; prendi il cappotto che fa freddo, prendi una buona dose di coraggio, prendi quello che hai di più caro sullo scaffale dei bei ricordi -sms, foto, aneddoti vari, posti, luoghi, paesaggi, sale d'attesa- e ti fiondi giù in strada. E lì, ad aspettarti, con lo sportello già aperto e il motore già in folle, nel silenzio della notte, ci sarà quella famosa figura, ormai decisamente netta, nitida, di cui parlavo qualche rigo più su. Sali in macchina e vai. Non sai dove, non sai perchè, non sai se tornerai ed eventualmente quando e in che condizioni.
Insieme macinate i chilometri come se il carburante fosse infinito e gratuito. Macinate chilometri di parole, di confessioni inconfessabili, milioni di chilometri di poesie e canzoni, chilometri e chilometri e chilometri di note musicali, di bellissime melodie. Sembra tutto così surreale, così bello da sembrare finto, sembra quasi un sogno. Ma è la realtà e stai vivendo. Non stai più respirando mentre prendi gli appunti, stai proprio vivendo. Il cuore non sta più pompando litri di sangue, sta proprio battendo. La pioggia non è più un qualsiasi comunissimo fenomeno atmosferico, diventa un segno della provvidenza divina, diventa una prova scientifica e inconfutabile che il destino c'è, esiste, e non è mai stato così tangibile come allora. E quando l'Archimede che è in te se ne rendo conto, non grida più "eureka!", si limita a sospirare, spaventato, un rantolo che sa di "oh cazzo, è la fine".
Intanto, tu e quello stronzo con i capelli a fungo siete ancora in auto che vagate senza sosta da giorni, probabilmente da settimane. Per quanto ne sai, potresti essere sulla circonvallazione di Seattle e poi magari state solo in una sperdutissima e inculatissima zona periferica di Squinzano... Ma non importa.
New York, Boston, Baltimora, Londra, Seattle, Berlino, Nizza, Antibes o Cellino San Marco, non importa. Che quella lì all'orizzonte sia la torre Eiffel o il Big Ben, la statua della libertà o un sopraelevatissimo Sant'Oronzo con la mano a forma di "3", non è importante. Ora come ora sarebbe fighissima anche l'insegna mezza rotta della Conad, chissenefrega. Sei macchina con quello stronzo, al momento c'è un pezzo dei Led, uno qualsiasi di cui canti tutto il testo, senza azzeccare una nota nemmeno per sbaglio fino ad avare un po' di raucedine, e sei così dannatamente viva. Quasi del tutto afona ma viva. 
E prima che i tuoi moribondi Ich e Uber-Ich si rendano conto dell'idillio di quel viaggio, stai facendo un bilancio vago e disordinato dei chilometri, delle poesie, delle canzoni. E quasi sicuramente uscirà fuori quello che in gergo è detto 'utile'. Cioè un guadagno. Perchè quando ami, tutto ciò che investi ti ritorna indietro con gli interessi. La linfa vitale e le energie che hai dato, che ti senti di aver perso, ti ritornano in tasca sotto forma di insegnamenti. Insegnamenti a volte a forma di muri, altre volte a forma di ponti.
Intanto, mentre sei sulla strada del ritorno, visto che il suddetto stronzo ti ha lasciata a piedi, sotto l'acquazzone, hai la calcolatrice in mano, e tu, stupida, rimpiangi di avergli dato il tuo giubbotto. Ormai l'Archimede che è in te ti ha allegramente mandata a cagare; se ne sta zitto, in camera tua, a guardare "Il trono di Spade" in streaming e tutto intorno c'è il casino che avevi lasciato quando eri andata via. Libri, evidenziatori, appunti. Sta tutto lì. Le pareti sono integre, il pavimento pure, il lampadario è fermo e si sentono le voci dei tuoi e di tuo fratello provenire dalle altre stanze. Sei a casa, e casa tua non è mai stata così estranea ai tuoi occhi, prima di allora. Ci si sente così quando si torna dalle gite scolastiche o dai viaggi di studio, ci si sente estranei in casa propria, sconosciuti nei propri corpi.
Prendi un foglio e scrivi, metti in conto tutto. E ti rendi conto che quando eri in macchina, fra Seattle e Cellino, fra la torre Eiffel e la Conad, tu e quello stronzo stavate cantando 'Babe I'm gonna leave you'. Sapevi che saresti partita e sapevi che saresti tornata. E soprattutto sapevi che saresti tornata con i vestiti laceri e in condizioni pietose, è solo che non sapevi quando.
Ora, però, hai capito perchè.
Adesso è proprio tardi, Archimede è andato a dormire, i tuoi Ich e Uber-Ich appresso a lui. Tu intanto  ti sei data una bella ripulita, hai spuntato il ciuffo, ti sei infilata il pigiama appena stirato, che ancora è caldo e profuma di ammorbidente, stai sistemando gli appunti e la cartella e controlli di aver messo la sveglia, perchè sei tornata a respirare e se domani perdi il treno non è più un magico segno della divina provvidenza: se domani perdi il treno te la prendi nel culo perchè salterai per l'ennesima volta il lettorato di inglese e già sai che la tua pronuncia fa più che schifo.

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